In tanti mi avete scritto perché curiosi di sapere cosa ho scelto per il mio abito da sposa. Ci siamo, ora vi racconto tutto (ma vi svelo solo qualche dettaglio).
La ricerca è iniziata diversi mesi fa.
Invece di mettermi a girare per showroom, ho preferito studiare prima bene le alternative di materiali, stilisti, abiti già confezionati.
Questa ricerca che è durata diversi mesi mi ha portato a contattare decine e decine di realtà in tutta Italia alla ricerca del mio abito da sposa.
Il mio sogno era di trovare una stoffa unica, con una storia, magari legata al recupero e confezionare artigianalmente il mio abito in tutti i suoi dettagli qui in Italia e senza che i materiali dovessero percorrere lunghe distanze. Il sogno era ambizioso e la ricerca è andata avanti a lungo,
e quando davvero cominciavo a disperare, finalmente è arrivata l’idea giusta.
È successo una sera per caso, sono passata a salutare Franco nel suo ristorante Tre Cristi e ci ho trovato un’amica che non vedevo da un po’, Arianna. Chiacchierando le ho raccontato della mia ricerca, del fatto che volevo un tessuto speciale, che fosse davvero sostenibile. Arianna mi suggerisce “perché non provi a recuperare i teli di lino usati per scolare la cagliata del formaggio?”.
Quell’idea è stata una piccola illuminazione ed ho subito pensato ad un formaggio in particolare, soprattutto a un consorzio a cui sono particolarmente affezionata, che ho avuto modo di conoscere da vicino negli ultimi anni e che è impegnato sul fronte della sostenibilità e tutela ambientale: il Consorzio Grana Padano.
Sono andata a trovarli e, con un poco di imbarazzo, vista la richiesta curiosa, ho chiesto loro se fosse possibile recuperare quei bei teli di lino a fine vita. È così che ho approfondito la loro storia e scoperto che si chiamano “schiavini”, che sono realizzati in Italia con un lino pregiato e che hanno un ruolo importante per garantire l’altissima qualità del Grana Padano DOP.
Il ciclo di vita di uno schiavino è di circa 15 giorni e serve per la produzione di 15 forme, ovvero di circa 550 Kg di formaggio. A fine vita lo shiavino può essere lavato e usato per le pulizie del magazzino, ma una cosa è certa, nessuno l’aveva mai usato per farne un abito da sposa.
Grazie al Consorzio Grana Padano, il mio sogno cominciava a prendere forma, ora avevo la stoffa 100% sostenibile, mi mancava però una mano sapiente capace di trasformare quel tessuto vissuto nell’abito per il mio matrimonio, un abito che abbraccia in pieno i principi dell’economia circolare.
Grazie a un’altra amica, Miriam, ho trovato Alessia Baldi, stilista, una vera artista nell’utilizzo di tessuti naturali, nel suo atelier (alessiabaldi.it) in centro a Reggio Emilia realizza le sue creazioni eleganti e raffinate, essenziali e romantiche ed è stato subito amore.
È stata una grande emozione per Alessia, come per me, quando sono arrivati gli schiavini dal Consorzio, ognuno diverso, ognuno con una storia che poteva essere letta semplicemente al tatto, una stoffa che Alessia mi ha raccontato “le parlava”, e che sotto i miei occhi ha trasformato giorno dopo giorno in un abito meraviglioso di cui vi anticipo solo qualche dettaglio e che vi svelerò per intero il giorno delle nozze (portate pazienza, un po’ di scaramanzia non guasta).
Alessia ed io ci siamo così innamorate di quel lino che ci siamo divertite a usarlo per varianti all’abito, per gli accessori, un vero total look made in Grana Padano di cui sono molto fiera.
Questo post è quindi soprattutto un ringraziamento agli amici del Consorzio per il loro dono, ad Alessia e alla sua maestria, alle amiche che mi hanno consigliata e che sono state decisive perché il mio sogno di un abito da sposa unico e sostenibile diventasse realtà.